Ius Culturae e “Buona Scuola”: contraddizione o propaganda?

non-riesce-a-leggere-il-giuramento-in-italiano-ci-27246-e1368109823809È da poco passata alla camera ed è in via di dibattimento al senato la proposta di legge che, accanto al tanto famigerato “Ius soli” per chi nasce in Italia, introduce anche una forma “temperata” per chi nato in Italia non è, battezzata dai media con un nome sicuramente d’impatto: “ius culturae”.

Di che si tratta? Il decreto legge in questione introduce il cosiddetto “ius culturae” per i figli di genitori stranieri che siano entrati in Italia entro il compimento del dodicesimo anno di età: per l’acquisizione della cittadinanza si prevede la frequenza regolare “per almeno cinque anni di istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale”.

Ed è proprio questo “Ius culturae” che Renzi e compagni elevano a cavallo di battaglia e che i vari membri del governo portano come fiore all’occhiello di questa proposta ad ogni comparsata nei vari talk show..

Dopotutto, diciamocelo francamente, quale avversario politico sarebbe in grado di controbattere, in modo incalzante e rispettando i tempi televisivi, alle argomentazioni, che è grazie alla formazione culturale e umana che si può intessere un percorso di integrazione e crescita?

Ed è proprio questo il punto: queste argomentazioni sono più che giuste, o quanto meno apprezzabili utilizzando i canoni del buonsenso che troppo spesso mancano nell’operato di questo governo.

Non v’è dubbio infatti che è nel condividere un certo substrato culturale, nell’identificarsi in certi valori, nel parlare la stessa lingua, nel conoscere e comprendere la propria storia che si incarna una buona parte, forse quella più superficiale ma sicuramente più significativa, dell’essere cittadino.

Quale luogo meglio della scuola può farsi carico della missione di forgiare uomini padroni del proprio destino? Dopotutto fin dall’antichità è proprio questo il significato di essere civis: prendere direttamente in mano le sorti di sè e della propria comunità. L’Italia ha sempre riconosciuto il valore della cultura nel definire l’uomo nella sua interezza: non è un caso che qui sia nato l’Umanesimo e che, più recentemente, proprio l’Italia ha visto l’istituzione del liceo classico ritenuta, a ragion veduta, un’eccellenza e singolarità tutta nostrana. È il vedere la cultura come qualcosa di fortemente dinamico, collegato all’anima, vera essenza per lo spirito e per il corpo che ha portato a ciò.

Ed è qui che casca l’asino e la propaganda Renzi torna a galla. Qual è la concezione di cultura oggi da parte del governo o, più in generale, del pensiero dominante? Semplice erudizione, gioco per pseudo intellettuali da talk show di seconda serata, merce museale, al massimo là si può sfruttare per fare un po’ di fatturato turistico per finanziare l’ennesimo taglio che ci chiede l’Europa, nulla di più.

In quest’ottica si articola la cosiddetta “buona scuola” di Renzi, una scuola che chiude col “vecchiume” del latino, della filosofia, dell’arte per lasciare spazio all’inglese e alla finanza. Largo alla specializzazione, all’utilitarismo, al modello di scuola azienda. Certo, le care e vecchie date delle battaglie storiche non verranno cancellate del tutto (in fondo sono sempre utili per rispondere alle domande di qualche gioco a quiz), ma il tutto verrà ricondotto a “quanto sarà utile questa o quest’altra nozione al mondo lavorativo?”.

Una scuola del genere è in grado di crescere i cittadini di domani? È in grado di farsi garante di questa cittadinanza acquisita di diritto? Se per cittadino si intende un consumatore anglofono ultra-specializzato, ad uso e consumo del mercato, allora sì questa è la via da seguire. Saranno questi nuovi cittadini in grado di scegliere il proprio destino? Saranno in grado di essere la classe dirigente di domani? Si interesseranno della “res publica”? Sapranno essere la linfa vitale della nazione? Lo dubito molto.

È evidente che, prima anche solo di poter pensare ad una forma di ius culturae, sia necessario ripensare al ruolo dell’istituzione scolastica per ritornare ad una visione della cultura che “educhi” (dal latino educere, “tirar fuori ciò che sta dentro”), una cultura che serva a crescere prima di tutto sè stessi.

Introdurre lo ius culturae allo stato attuale delle cose non è dunque solo propaganda, ma qualcosa di molto più subdolo e malizioso.

A.F.

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