Partendo dal presupposto che il modo peggiore oggi esistente nel Paese per accumulare capitale sia quello di lavorare (per quella che rientra nell’accezione comune del termine), è palesemente chiaro come una Repubblica, per di più Democratica, fondata su di esso possa senza ombra di dubbio tracciare un bilancio molto vicino al fallimentare dopo più di mezzo secolo.
Prima di analizzare lo sviluppo storico che a partire dall’unità nazionale ha portato a tale insuccesso, affrontiamo in questo primo capitolo le obiezioni principali a cui, la tesi precedentemente esposta, presta il fianco.
La prima, fatta da coloro i quali hanno tutto l’interesse per portare avanti il più possibile tale situazione, è quella che vorrebbe il successo economico in ambito lavorativo figlio di talento, capacità, sforzi, impegno e abnegazione investiti brillantemente in esso. Detto che di una fiducia così cieca nelle capacità dell’individuo di interferire sul meccanismo redistributivo del reddito si son quasi perse le tracce persino negli Stati Uniti, è nostro compito far notare a loro alcuni semplici fatti provenienti dall’osservazione empirica della realtà:
- come l’ossessiva richiesta di intercambiabilità abbia pesantemente ridotto la forbice di competenze e responsabilità che ogni categoria di lavoratori portava con se, delegittimando l’autorevolezza delle posizioni per appiattire i salari ad un unico livello di contrattazione e ottenendo così un potere di acquisto generalmente debole sul quale far valere la voce grossa dei patrimoni da un lato, quelli sì mai messi in discussione, e la generosa offerta di lavoro stile concessione feudale dall’altro;
- come il denaro circolante sia pressochè in mano a spacciatori, contrabbandieri, usurai, protettori e prostitute, di origine russa, cinese, slava e balcana, molto capace ad accordarsi col racket mafioso nazionale;
- come lo Stato ben sapendo e ben contento di questa impasse punti sempre di più insieme ai suoi cittadini agli introiti da lotterie, slot-machine, casinò reali e on-line con in più la novità dei compra-oro per offrire la più ampia gamma di lavanderie fai da te al servizio di riciclaggio;
- come di nuovo, per l’ennesima volta, i più talentuosi o coraggiosi delle generazioni più giovani siano costretti ad emigrare da un Paese talmente democratico da costringere i propri figli a fuggire.
Certo: affermare che non ci sia del gran “lavoro” dietro a tutto questo è difficile, ma se non sono opportunità normalmente pubblicizzabili per scuole, giornali e televisioni, perchè mai lo devono diventare ora?

La seconda obiezione, invece, considera l’accumulo di capitale al di fuori della sfera di competenza delle garanzie lavorative in quanto, quest’ultime, si esauriscono nel momento in cui è raggiunto uno stile di vita dignitoso. Considerato che tutto sommato tale posizione possa anche esprimere un’ideologia condivisibile rimane lo stesso da giustificare l’esistenza delle innegabili ricchezze esibite da alcune famiglie, tendenzialmente e paradossalmente le stesse che poi stanno filosofeggiando.
Difficile sostenere serenamente, all’interno dei confini repubblicani, al di la della cruda realtà, che esistano per diritto divino o di casato; scontato giustificarle con l’argomento affrontato nella prima obiezione; lecito indicare nell’evasione fiscale la strada per accumulare ricchezza in barba alla macchina redistributiva statale instaurata allo scopo di riequilibrare i redditi.
Nella Repubblica Democratica fondata sul lavoro, quindi, abbiamo individuato nell’evasore colui che mette in crisi la stabilità del patto costituzionale in quanto in grado di accumulare ricchezza sottraendola agli altri cittadini che a parità di sforzi invece si trovano in enormi difficoltà. Al contempo, quindi, la possibilità di accedere ai canali dell’evasione fiscale diventa il vero e proprio privilegio capace di aprire una breccia nel calmiere dei tenori di vita.
Però: considerare la ricchezza fuori lo scopo lavorativo per poi giustificarne l’esistenza principalmente con l’evasione confina questa seconda obiezione nel recinto della prima in quanto oltre ad essere illegale e riservata a pochi non può far altro che vincolarsi proporzionalmente al reddito da lavoro.
Se proprio ci si volesse ostinare sul fatto che il fondamento repubblicano della Nazione, il lavoro, è lo stesso solido, o meglio, non è messo in dubbio dalla difficoltà a giustificare le forti differenze tra la moltitudine dei cittadini e una loro parte, perchè, di nuovo, esso si offre a tutti i cittadini come fondamentale strumento di esistenza e non di fasto, allora, innanzitutto, bisognerebbe fare i conti con il fenomeno della disoccupazione la cui sola comparsa ne mina le basi, figurarsi poi con l’approdo a percentuali superiori il 10; e poi, in seconda battuta, bisognerebbe accettare il fatto che la Repubblica essendo comunque chiamata ad occuparsi imparzialmente dell’argomento, non potendolo lasciare al caso, si stia comportando alla stregua di un peschereccio nel pieno di una marea tropicale.
Pur con tutta la buona volontà di questo mondo insomma pare enormemente in difficoltà la causa opposta a quella di inizio tracciato.
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