Legge Merlin: Stato miope o ottuso?

prostituzione1La nostra società sta attraversando uno dei momenti più complicati della sua storia. La spesa pubblica è troppo elevata e il sistema è al collasso, le uscite sono maggiori delle entrate a causa di una amministrazione deficitaria e di una classe politica mediocre e pressapochista.

Le misure di austerity mettono i cittadini con le spalle al muro, le tasse aumentano e i servizi diminuiscono. Gli stipendi sono i medesimi dai tempi in cui Ford scoprì la catena di montaggio e la pressione fiscale sulle imprese, oggi,  tocca quota 68% (la più alta d’Europa).

Bloccati in una concezione arcaica d’Europa che, a mio avviso, non ha futuro, e bloccati in un sistema improduttivo e limitativo per le singole nazioni, non ci rendiamo conto che il cambiamento consiste nell’essere lungimiranti e programmare una politica a lunga scadenza dove i singoli cittadini non siano vessati dallo Stato, ma lo Stato sia a disposizione dei singoli cittadini per aiutarli nello sviluppo.

L’Italia ha aumentato le tasse e non ha pensato a creare nuove entrate. Per nuove entrate intendo regolarizzare dei lavori che oggi rientrano nella logica di altri paesi europei ma non nella nostra, in primis il lavoro più vecchio al mondo: la prostituzione.

La prostituzione nella nostra penisola vi è da sempre. Tutti lo sanno e nessuno pensa di regolarizzarla.
Nella prima metà del ‘900 questa attività era regolarizzata, oggi lo Stato pensa sia meglio lasciare invariate le cose e proseguire con la Leggi Merlin.

Il termine Legge Merlin indica convenzionalmente la Legge 20 febbraio 1958, n. 75 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 1958), chiamata in questo modo in quanto la prima firmataria era la senatrice socialista Lina Merlin. Con questa legge veniva stabilita, entro sei mesi dall’entrata in vigore della Legge, la chiusura delle case di tolleranza, l’abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia e l’introduzione di una serie di reati intesi a contrastare lo sfruttamento della prostituzione altrui.
Questo provvedimento legislativo fu il principale dell’attività politica della parlamentare socialista, che intese seguire l’esempio dell’attivista francese ed ex prostituta Marthe Richard, sotto la cui spinta già nel 1946 erano state chiuse le case di tolleranza in Francia, e riprende i principi della Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con risoluzione 317 (IV) del 2 dicembre 1949, entrata in vigore il 25 luglio 1951 e resa esecutiva in Italia con legge 23 novembre 1966 n. 1173 (in Gazz. Uff., 7 gennaio 1966, n. 5). 1948-1958: laborioso iter legislativo.
Lo spirito della legge

Gli intenti di Lina Merlin nel portare avanti, fin dal momento della sua elezione, la propria lotta al lenocinio (favoreggiamento) inteso come sfruttamento di prostitute (e, di fatto, quindi decretare l’illegalizzazione della prostituzione) portò all’approvazione dell’omonima e ampiamente discussa legge.
Il suo primo atto parlamentare era stato quello di depositare un progetto di legge contro il sesso in compravendita e l’uso statale di riscuotere la tassa di esercizio. Un incentivo alla sua azione legislativa venne dall’adesione dell’Italia all’ONU. In virtù di questo evento, il governo dovette sottoscrivere diverse convenzioni internazionali tra cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (del 1948) che, tra l’altro, faceva obbligo agli Stati firmatari di porre in atto “la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione”.

Una prima versione del suo disegno di legge in materia di abolizione delle case chiuse in Italia, Lina Merlin lo aveva presentato nell’agosto del 1948 (anno in cui si calcola fossero attivi oltre settecento bordelli, con n° 3000 donne registrate, che risulteranno ridotte a circa n°2500 al momento dell’entrata in vigore della legge).

Il PSI di allora intendeva, come deriva della ratifica di questi trattati, abolire le case di tolleranza gestite dallo Stato. Tuttavia, l’allora ministro degli Interni Mario Scelba aveva smesso di rilasciare licenze di polizia per l’apertura di nuove case già dal 1948. La proposta di legge presentata dalla Merlin fu l’unica al riguardo. Merlin ribadì nel dibattito parlamentare come l’articolo 3 della Costituzione italiana sancisse l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e l’articolo 32 annoverasse la salute come fondamentale diritto dell’individuo; veniva citato inoltre il secondo comma dell’articolo 41 che stabilisce come un’attività economica non possa essere svolta in modo da arrecare danno alla dignità umana. A detta della senatrice, le leggi che fino ad allora avevano regolamentato la prostituzione potevano e dovevano essere abolite, senza che ad esse venisse sostituito alcun controllo o permesso di esercitarla in luogo pubblico.
Occorsero nove anni perché la sua proposta di legge percorresse l’intero iter legislativo. La legge prescriveva anche la costituzione del primo corpo di Polizia femminile, che da allora in poi si sarebbe occupata della prevenzione e della repressione dei reati contro il buon costume e della lotta alla delinquenza minorile (ad oggi non vi è molta chiarezza su questo)
La legge n. 75/1958 punisce formalmente sia lo sfruttamento sia il favoreggiamento della prostituzione: infatti l’art. 3, n. 8), della l. 75/1958 punisce “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”.

Con il parere contrario dei monarchici e missini, il progetto divenne legge dopo un lunghissimo iter parlamentare il 20 febbraio 1958: veniva abolita la regolamentazione statale della prostituzione e si disponevano sanzioni nei confronti dello sfruttamento della prostituzione.

Sette mesi dopo la pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana – avvenuta sul numero 55 del 4 marzo – alla mezzanotte del 20 settembre di quell’anno, vennero chiusi oltre n°560 postriboli su tutto il territorio nazionale. Molti di questi luoghi furono riconvertiti in enti di patronato per l’accoglienza ed il ricovero delle ex-prostitute.
Legalizzare oggi questa attività consentirebbe di:

  • Regolarizzare le praticanti e quindi riceverne i contributi;
  • Aumentare degli introiti statali;
  • Aumentare posti di lavoro;
  • Più sicurezza per tutti operante in primis;
  • Eliminare il degrado sulle strade;
  • Combattere la violenza sulla donne;
  • Combattere la criminalità organizzata.

Da qui nasce spontanea una domanda: Stato ottuso o miope?

Facciamo una breve digressione nel tempo per capire, come questo tema, veniva tratto nei periodi antecedenti alla Leggi Merlin.
In Italia la prostituzione è stata regolamentata dallo Stato fin dai tempi antichi. Nel Regno delle Due Sicilie, già nel 1432, era stata rilasciata una reale patente per l’apertura di un lupanare pubblico; e anche nella Serenissima Repubblica di Venezia esistevano numerose case di prostituzione. Case di tolleranza erano presenti anche nello Stato pontificio. Il Regno di Sardegna introdusse il meretricio di stato (pensato, voluto e realizzato da Cavour), anche e soprattutto per motivi igienici, lungo il percorso delle truppe di Napoleone III nella seconda guerra di indipendenza italiana, sul modello di quanto già esisteva in Francia dai tempi del primo Napoleone. Con l’unità d’Italia, una legge del 1860 estendeva questa pratica a tutto il paese, dove peraltro esisteva già una ricca tradizione di tolleranza in varie regioni. Lo Stato italiano si faceva carico di fissare anche i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli al tasso di inflazione. Ampi consensi popolari erano andati, ad esempio, al ministro degli Interni Giovanni Nicotera quando, nel 1891, aveva dimezzato il prezzo di un semplice trattenimento in una casa di terza classe, con ulteriori sconti per soldati e sottufficiali, mentre Urbano Rattazzi, anni prima, aveva persino stabilito con un decreto ministeriale che una prestazione basilare doveva durare venti minuti.

Il regime fascista, con il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, aveva imposto misure restrittive nei confronti delle prostitute, obbligate ad essere schedate dalle autorità di pubblica sicurezza e sottoposte ad esami medici obbligatori, per tutelare i clienti e le stesse operanti che fruttavano alle casse dello Stato, ragionamento frutto di una politica attiva, viva e presente sul territorio in grado di valutare il problema con oggettività. La frequentazione di case di tolleranza era, prima della loro chiusura, una pratica abbastanza consueta presso la popolazione maschile, mentre le donne che entravano a far parte della schiera delle prostitute avevano poche possibilità di affrancarsi da un mestiere che spesso era fonte di malattie veneree e quindi di una minore aspettativa di vita. Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale l’opinione pubblica era in buona parte favorevole alla prostituzione legalizzata, sia per ragioni di igiene pubblica, sia per la volontà di porre un divario con le ragazze destinate a diventare spose e madri e per garantire alla popolazione maschile una valvola di sfogo per i propri istinti sessuali. Ragionamento utili in ogni epoca.

La legge italiana in vigore fino ad allora prevedeva che venissero periodicamente messi in atto controlli sanitari sulle prostitute, quindi la scusa del degrado non sussiste. I Bordelli erano in regola e contribuivano al benessere del paese. Le praticanti si sentivano al sicuro e potevano svolgere la loro attività, sapendo di essere tutelate dallo Stato stesso.

Pur essendo l’argomento per sua natura scabroso, e perciò improponibile sui pudibondi mezzi di informazione dell’Italia degli anni cinquanta, nel Parlamento e nella società si creò una spaccatura trasversale tra coloro che sostenevano l’opinione della Merlin, tra cui molti esponenti di area cattolica, e molti altri che invece opposero un atteggiamento di rifiuto totale e categorico, inclusi diversi suoi compagni di partito.
Lo scontro tra queste due opposte tendenze raggiunse comunque i banchi delle librerie quando Merlin, insieme alla giornalista Carla Voltolina, moglie del deputato socialista e futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, pubblicò nel 1955 un libro intitolato “Lettere dalle case chiuse”, nel quale – attraverso la prosa ingenua e spesso sgrammaticata delle lettere indirizzate alla Merlin dalle stesse sfortunate vittime la realtà dei bordelli italiani – il fenomeno emergeva in tutto il suo squallore.
Sul fronte opposto il giornalista Indro Montanelli si batté pervicacemente contro quella che ormai veniva già chiamata – e si sarebbe da allora chiamata – la legge Merlin. Nel 1956 diede alle stampe un polemico libello intitolato “Addio, Wanda!”, nel quale scriveva tra l’altro:
« … in Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia… »
L’ambiente dei casini è stato trattato anche dallo scrittore Giancarlo Fusco nella sua raccolta di racconti Quando l’Italia tollerava.

L’ostilità verso la Merlin dei tenutari di case di tolleranza, che si erano riuniti in un’associazione di categoria denominata APCA (Associazione Proprietari Case Autorizzate), e di tutti coloro che si opponevano alla sua proposta di legge, giunse al punto di costringerla alla semi-clandestinità, dopo che ebbe ricevuto intimidazioni e minacce di morte.
Dagli anni ottanta nel dibattito politico italiano hanno preso corpo numerose richieste per l’abrogazione – in tutto o in parte – della Legge Merlin, giudicata non più al passo con i tempi.

Conclusioni

La legge è ritenuta da più detrattori non idonea a gestire il fenomeno della prostituzione in Italia che, di fatto, rimane una realtà presente e costante. In Italia, infatti, non è considerato reato la vendita del proprio corpo, mentre lo è lo sfruttamento del corpo altrui anche se in ambiente organizzato. Ciò ha permesso il proseguire, di fatto, della mercificazione corporale nelle strade oltre che nelle case, ma nella clandestinità.
Inoltre, prima dell’entrata in vigore della legge la prostituzione nelle strade era molto poco diffusa, mentre dopo l’entrata in vigore è aumentata notevolmente.

Negli anni ‘90, soprattutto, si è sviluppato il fenomeno della prostituzione legata all’immigrazione clandestina, esploso poi negli ultimi anni: le prostitute in strada sono nella quasi totalità straniere. Due le etnie più rappresentate: africane (Nigeria e C.) da una parte ed europee dell’Est dall’altra. Il traffico di donne, talvolta anche minorenni, e i lauti guadagni del loro sfruttamento, è passato sotto il controllo delle mafie italiane e dei loro Paesi d’origine. Queste nuove schiave, legate al traffico di esseri umani, sono oggi, un problema irrisolto che ripropone con urgenza il ripensamento dalla stessa legge Merlin.

La classe politica degli ultimi 60 anni non ha sviluppato una discussione ne costruttiva ne sensata, solo parole sterili prive di alcun risultato. La prostituzione genera in Italia un notevole indotto (50000-70000 prostitute coinvolte, 9 milioni di clienti, 19-25 miliardi di euro il giro d’affari stimato) sottratto all’imposizione fiscale e a vantaggio della criminalità organizzata.

Dott. Alessandro Mingardi

Fonti:

http://a8.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-ash4/409737_349262351818586_870273030_n.jpg
http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2008/aprile/legge-75-1958.html
http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=leggemerlin

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